logo

logo
ebook di ArchigraficA

lunedì 2 luglio 2012

Esiste un giallo napoletano?


 di Giacomo Ricci

Come scrivere un giallo napoletano, è il titolo di un interessante manualetto, scritto da Massimo Siviero nel 2003.
A me interessa parlarne ora per almeno un paio di buoni motivi. Il primo è che Siviero è anche autore, tra le altre cose, di un recentissimo romanzo dal titolo Caponapoli. Intrighi e delitti sotto il Vesuvio (giallo Mondadori n.° 3055, del 2012), giallo che, come recita il sottotitolo, è esplicitamente opera illuminata dal sole napoletano e nascosta dall’ombra del vulcano più temuto degli ultimi anni. Ma la circostanza interessante è che si tratta di libro in formato digitale, un ebook quindi, che ho acquistato da una mezzora circa, da Amazon.
Già tutto quello che finora ho detto rappresenta una specie di rivoluzione direi doppia. Per primo perché si tratta di un genere particolare che potremmo definire, per l’appunto, “giallo napoletano” che viene ufficialmente ospitato in una delle collane più prestigiose di letteratura popolare e di genere, il giallo Mondadori, da cui  ha preso proprio l'appellativo di "giallo".  
Il che rappresenta un vero e proprio avvenimento epocale, di alto significato. E si tratta di definizione importante e intrigante che spiega anche il mio incipit, sul quale tornerò tra poco.
E poi  perché inaugura una procedura che molti come me vanno predicando da tempo: il ricorso al formato digitale, almeno per la letteratura più “svelta” ed estiva per così dire, quella destinata cioè ad accompagnarci dappertutto, in spiaggia, nelle camere d’albergo, al bar, su una panchina di fronte al mare quando si fa sera. Un ricorso all’uso delle nuove tecnologie nella letteratura cosiddetta di “consumo” che, poco da fare, appare immediatamente razionale, efficiente, innovativo.
Non ultime, poi, le agevolazioni economico-funzionali che un tipo di scelta simile comporta: a cominciare dal prezzo, 2,90 euro al posto dei soliti 12-17 euro per un giallo in formato cartaceo. Una differenza nient'affatto di poco conto. 
Taccio di tutto il resto. Cioè del mio lettore Kindle sul quale il libro si è installato in una manciata di secondi, la leggibilità (per me che sono assolutamente cecato) dovuta all’e-ink, alla scalabilità dei caratteri e dei font e, non ultime, le dimensioni fisiche del lettore: 16,5 x 11,5 centimetri, un peso di circa due etti e un quantitativo di libri attualmente immagazzinati pari a 250 (dal Don Chisciotte, la Recerce di Proust, le Memorie di Adriano della Yourcenar, alle Avventure di Sherlock Holmes, se si eccettuano i testi scientifici) con una potenzialità di immagazzinare perlomeno 1500 testi, e un consumo con una batteria che si ricarica ogni 25-30 giorni  con uso intensivo. Lo stesso quantitativo di libri corrisponde a circa un sesto nella mia libreria cartacea  che occupa circa 100 mq di spazio, con librerie, polvere, e tarme da combattere e incubo trasloco – anche solo da stanza a stanza. 
Aggiungo – e qui smetto – che i 1500 libri me li porto appresso e pesano sempre circa due etti e posso  leggerli come voglio e dove voglio, al sole, alla luce di una lampada, proprio come si trattasse di un libro cartaceo e, se sono stanco di leggere,  è lo stesso lettore a leggermeli alla velocità e con la voce che più desidero. Magari quella suadente e calda di una giovane donna. Se non altro rilassante.
E torno all’inizio. Come scrivere un giallo napoletano è testo interessante perché, come il titolo stesso suggerisce, presuppone l’individuazione e  l’esistenza di  una letteratura che possa definirsi, con sufficiente certezza,  “gialla” e “napoletana”.
Alla ricerca efficace e condivisibile di questa definizione è dunque indirizzato il lavoro di Siviero che ne traccia la nascita e le caratteristiche salienti.
“Il giallo napoletano – scrive Siviero – è caratterizzato non soltanto da elementi geografici. Non vanno trascurate le differenze storiche, antropologiche, linguistiche, sociali, psicologiche, topografiche e ambientali”.
Ma si ha di più. Perché un’opera così congegnata, travalicando la cronaca, sempre presente a Napoli in maniera prepotente, sembra funzionare molto bene soprattutto sul piano generale e delle invarianti strutturali della cultura napoletana che riesce a individuare e mettere a fuoco. 
“In una realtà gotica e solare, esoterica e folcloristica, fatalista e razionale, il racconto nel segno del mistero è capace di spiegare”, infatti,  le singolari contraddizioni che da sempre caratterizzano la storia e le vicende locali.
La nascita del giallo napoletano, prosegue Siviero, è da rintracciarsi soprattutto nel vecchio romanzo d’appendice.
E individua il primo autore di un giallo napoletano, fondato cioè sulle caratteristiche specifiche della città di Napoli e le sue origini antropologiche, per così dire. L’autore è, secondo Siviero, Francesco Mastriani, con in suoi La cieca di Sorrento e, soprattutto, Il mio cadavere.
Questa considerazione non è di poco conto, perché permette di stabilire anche, con sufficiente certezza, la data di nascita del giallo all’italiana e, per la precisione, la sua natura napoletana.
“Rimane il dato storico e oggettivo che consente … di definire la primogenitura partenopea sulle origini del thriller in Italia” afferma Siviero.
Cosa, questa,  di non secondaria importanza. Il mio cadavere di Mastriani, è giallo di tipo “psicologico” che presenta non pochi elementi definibili oggi con l’aggettivo horror.
Come bene si comprende questo dato stabilisce un inizio, una vera e propria genealogia per il genere “giallo napoletano”, provvisto di sue specifiche caratteristiche stilistico-strutturali in cui abbondano elementi “grotteschi e barocchi”.
Autori che resero denso di opere e significati questo filone sono Ranieri, il già citato Mastriani, Matilde Serao (magistrale la sua La mano tagliata) e infine lo stesso Salvatore Di Giacomo.
A questi, che possono esser definiti  i padri fondatori, per così dire, si aggiungono, in tempi più recenti, scrittori come Attilio Veraldi, Giuseppe Ferrandino, Salvatore Piscicelli, Peppe Lanzetta, Michele Serio, Luciano Scateni, Antonio Forni, Bruno Coppola, Nicola Quartano, Vincenzo De Falco, Diana Lama, Gaetano Montefusco, Luigi Massa.
Ma si può parlare di uno specifico valore del giallo napoletano? E se sì in che cosa consiste questo valore?
“Il giallo napoletano – scrive Siviero – s’inserisce tra il romanzo sociale, la commedia e il dramma”.
E qui ci vuol poco a leggere  le caratteristiche di fondo della cultura napoletana, letteraria e, soprattutto, teatrale. Viene subito in mente Eduardo e le sue commedie più cupe, come Le voci di dentro, dove il mistero, proprio di natura gialla, viene a configurarsi in una trama  che gira intorno ad un oscuro delitto, sfuggente e inesistente, ma non per questo meno oppressivo e presente nell'animo dei protagonisti della storia che ne sono profondamente turbati anche se del delitto, e soprattutto del presunto morto,  non si riescono a rintracciare le prove. Perchè, poi, come presto si scoprirà, il delitto non c'è stato. Ma tutti credono che sia accaduto veramente. E questo permette ai pensieri più reconditi e nefandi di venire alla luce e ognuno sospetta dell'altro, ognuno è pronto alla dannazione pur di scaricare tutto l'odio represso che prova per il suo simile, per il suo compagno di viaggio in questa vita. Ed è la vita che si scopre nel suo orrore banale di ogni giorno. 
Il mistero si   svela, infatti,  con le orribili fattezze-turpitudini del vivere quotidiano e “normale”, dove il delitto, per quanto immondo, blasfemo e contronatura è sempre presente e praticabile, oltre ogni impedimento etico,  per “aiutare” l’animo dell’uomo qualunque  a sciogliere nodi e contraddizioni che si aggirano negli abissi dell’anima disperata e sola della modernità antica del popolo napoletano.
In ognuno alberga un mostro assetato di sangue, di vendetta e di odio cieco e furiosamente represso. 
Napoli, scrive Siviero, è città di “tufo e di zolfo” e se l’espressione giallo non fosse esistita,  l’avrebbero inventata i napoletani.
E c’è da dire di più. Il giallo napoletano, per tutto quello che s'è detto,   non rappresenta una letteratura d’evasione come si sarebbe portati a credere, ma “d’invasione” delle coscienze. E’ un vero e proprio catalizzatore che sbatte il lettore di fronte alle responsabilità della vita civile e delle sue profonde incongruenze che, in questa metropoli, non tardano ad assumere fattezze metafisiche e da incubo.
“Il thriller calato in una metropoli così densa d’umori, diventa per sua natura un romanzo diverso, ambientato con colore e calore nei meandri della casbah neapolitana. Di questa topografia bisogna saper dare un ritratto originale e veritiero, dal di dentro”.
Interessante e profonda l’operazione critico-ricostruttiva di Siviero, possiamo dire. Perché di un genere identifica la genealogia, l’ambientazione culturale (geo-antropologica) e gli obbiettivi. E che altro ci vuol più per definire non un genere, ma un’area culturale identificata nelle sue possibilità di progetto e nel suo statuto culturale di impegno?
Nel prossimo intervento mi propongo di discutere del giallo Caponapoli.