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ebook di ArchigraficA

giovedì 4 aprile 2013

Intervista impossibile


di Vincenzo Perrone

La grande magnolia nel cortile di Palazzo Gravina 
sede della Facoltà di Architettura di Napoli


Lo scrivente incontra Ferdinando Chiaromonte (1902 – 1985).
Perrone: «Salve Professore, è un piacere rincontrarla. Come sta?»
Chiaromonte: «Evitate di darmi del lei. L’uso del lei è stato proibito da Achille Starace (Segretario del P.N.F.) perché ritenuto di origine spagnola, estraneo alla cultura nazionale, nonché residuo del servilismo italiano verso gli invasori stranieri ed espressione di snobismo borghese. Diamoci del voi. Come sto? Meglio di quanto potrei stare tra voi, ammesso che avessi campato 109 anni. Sono, infatti, nato a Napoli nel 1902.»
P.: «Non vi manca Napoli?»
C.: «Non tanto. L’ambiente nel quale abbiamo trascorso la nostra esistenza, non è formato tanto dalle pietre quanto dalle persone. Per me le pietre hanno una grande importanza; ma le persone contano di più. Le persone che hanno popolato lo scenario della mia vita non ci sono più  e questa città la sento, oramai, un po’ estranea.»
P.: «Come vi è parsa la Facoltà di Architettura?»
C.: «Confesso che non ho resistito alla tentazione di ritornare a Palazzo Gravina ed, in particolare, all’ultimo piano, dove c’era il mio studio professionale. La magnolia, nel cortile, è cresciuta moltissimo (da che era un alberello striminzito) e mi ha fatto capire che gli anni sono passati, inesorabilmente. Mi ha impressionato l’assenza di vita. Il palazzo è vuoto e mi ha dato l’impressione di una congrega del cimitero. E lo è.»
P.: «Un cimitero?»
C.: «Un cimitero delle coscienze.»
P.: «E dell’attuale corpo docente cosa ne pensate?»
C.: «Non mi pronuncio. Tutte le spedizioni all’interno dell’uomo finiscono sempre in chiacchiere inutili e superficiali. Comunque, si vede ad occhio nudo che dal 1935 al 1955 (un ventennio) il corpo docente era suis viribus pollens.»
P.: «Professore, evitiamo citazioni latine, che, oramai, pochi comprendono. Cosa vuol dire suis viribus pollens?»
C.: «Possente di sua propria forza.»
P.: «Come vedete la situazione attuale degli Architetti?»
C.: «Male. Innanzitutto sono troppi. Nel 1938 eravamo 79 architetti in Campania, 6 in Abruzzo, 3 in Calabria e nessuno in Basilicata. In totale 88 architetti in quello che, dopo il secondo conflitto mondiale, sarà l'Ordine degli Architetti della Campania, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, di cui io sono stato Presidente dal 1949 al 1951 e dal 1953 fino al 1962.»
P.: «E prima della guerra?»
C.: «Prima della guerra, benché gli Ordini furono istituiti con il Regio Decreto 23 ottobre 1925 n. 2537, noi riuscimmo a non farli sorgere. Ghino Venturi, Vincenzo Fasolo e Alberto Calza Bini fondarono il Sindacato Fascista Architetti ed io ebbi l’onore di esserne il Segretario, per la Campania.»
P.: «L’Ordine di Napoli quando nacque?»
C.: «Nel 1944. Fu un’iniziativa di Roberto Pane. Chiese un’autorizzazione al Governo Militare Alleato, per indire un’assemblea degli Architetti, che si tenne il 31 gennaio 1944. Il prossimo 31 gennaio potrete spegnere la torta con 68 candeline; ma io vedo poco da festeggiare.»
P.: «Perché dite che gli Architetti sono troppi?»
C.: «Ma è ovvio! Ho appena detto che noi eravamo, nel 1938, 88 in tutta l’Italia meridionale e già Calza Bini aveva il suo bel daffare per accontentare tutti, elargendo incarichi professionali a dritta e a manca. Oggi ci sono 8800 Architetti solo a Napoli e Provincia: uno ogni 340 abitanti. Serve un dentista ogni 5000 abitanti. Se ognuno di noi, invece di avere 32 denti, ne avesse 500 (come gli squali) ci vorrebbe un dentista ogni 30 abitanti. E’ Matematica. E se, invece dei denti avessimo i becchi, non servirebbero i dentisti, ma … i beccai.»
P.: «Professore, Le .. pardon … Vi piace di scherzare. Non mi provocate, perché piace scherzare anche a me. E come si è determinata questa situazione?»
C.: «Secondo me, nel 1969 vi è stato l’inizio della fine. Fino ad allora si accedeva alla Facoltà di Architettura con una maturità: classica, scientifica o artistica. Si è voluto aprire a tutti. Si è passato da un’università di élite a una di massa ed … eccoci qua. L’Ordine degli Architetti di Napoli è passato da poco più di 1500 iscritti del 1978 (allorché era Ordine degli Architetti della Campania, Abruzzo, Molise e Basilicata) a 1681 nel 1984, 1986 nel 1986, 2312 nel 1988 (l’Ordine, adesso, comprende solo le province di Napoli e Isernia), 2604 nel 1990 (da adesso in poi solo la provincia di Napoli), 2960 nel 1992, 3451 nel 1994, 4668 nel 1999, 5377 nel 2001 e ben 6992 nel 2005 (di cui 6981 della sezione A e solo 11 della B). Oggi siamo poco sotto i 9000 e veleggiamo verso i 10.000. Ci fermeremo quando ci sarà un architetto ogni 5 abitanti? O volessimo fare todos caballeros? O, meglio, todos arquitectos?»
P.: «E’ solo questa situazione inflattiva che ha determinato la crisi?»
C.: «I colpi sono stati tre. Conoscete la leggenda di Hiram Abiff?»
P.: «Certo che la conosco! Ma le domande le faccio io a Voi o volete farle Voi a me?»
C.: «La leggenda la riassumo io. La Bibbia ci presenta Hiram Abiff come il massimo Architetto del suo tempo. Egli fu incaricato dal potente Re Salomone per la costruzione del grande Tempio, la Casa del Signore. Nessuno meglio di Hiram sapeva lavorare i metalli, egli padroneggiava i segreti dell’Arte, fine intagliatore di pietre e legno aveva accumulato grande esperienza nel governare operai e maestranze. Fu ucciso da tre compagni che si erano appostati, armati di un arnese da lavoro, alle tre porte del Tempio. Il primo – alla porta di occidente – gli sferrò un colpo alla gola.
Seppur stordito, il Maestro riuscì a sfuggirgli dirigendosi immediatamente verso la porta a Meridione, dove fu colpito al cuore.
Quasi esanime e gravemente ferito, Hiram si trascinò verso l’ultima porta, quella posta ad Oriente, in cerca di scampo … ma anche là trovò appostato l’ultimo dei tre che, sbarrandogli la via, lo colpì direttamente alla fronte, e lo uccise!
L’Architetto va ucciso con tre colpi.»
P.: «Bene! Il primo colpo l’ho capito. Gli altri due quali sono stati?»
C.: «L’eliminazione dei minimi di tariffa e la possibilità di creare società di progettazione, i cui soci potranno essere anche non professionisti che impegnino un capitale.
L’eliminazione dei minimi di tariffa fa si che un sedicente Architetto (o un Architetto “semicompetente”) si offra per una prestazione professionale in cambio di un piatto di minestra calda. Per le società, c’è la prospettiva che un signore pieno di soldi metta su una S.p.A., in cui lui ha il 99% delle azioni e il restante 1% lo riconosce ad una “squadretta” di Architetti, da pisciare in mano.»
P.: «Professore, questa volgarità da Voi non me l’aspettavo.»
C.: «Mi è scappata (la volgarità, non la pipì).»
P.: «E gli Ordini che fanno?»
C.: «Come ricorderete, io sono stato sia Presidente dell’Ordine di Napoli, sia Presidente del C.N.A. Dal 1941 al 1950 Marcello Canino è stato Preside della Facoltà ed io – più o meno in parallelo – Presidente dell’Ordine. Calza Bini è stato Preside dal 1936 al 1941 e, poi, dal 1950 al 1955. C’era una sinergia tra Ordine e Facoltà ed eravamo sempre noi: la vecchia guardia del Sindacato Fascista Architetti. Secondo Voi – caro Perrone – con noi sarebbero passate queste cose? Saremmo andati a Roma, con il revolver in una tasca dei pantaloni, ad “incrementare” il volume dei nostri attributi. E sarebbero state la Facoltà e l’Ordine a muoversi insieme. Due popoli … una guerra. Ricordate cosa diceva Leonardo da Vinci a proposito dell’arco? “L'arco è una costruzione nata da due debolezze dalla cui unione risulta una grande forza”. Qui abbiamo due debolezze che … non fanno un cazzo.»
P.: «Professore, nuovamente con le volgarità? Io vi ho conosciuto in più occasioni (l’incipit del corso di Tecnologia, l’esame di Stato, un esame di abilitazione all’insegnamento) e non mi siete sembrato volgare. Mi avete sempre dato l’impressione di un moschettiere, con questi baffetti e il pizzetto, che si chiama “tirabaci” (e sarei tentato di chiedervi se veramente i baci li ha tirati).»
C.: «Beh! Ammetterete che non si può gioire vedendo tutto ciò che si è costruito, ridotto in cenere. Il povero Calza Bini si fece anche qualche anno nel campo di concentramento inglese di Padula, perché il Governo militare d'occupazione (l’AMGOT, Allied Military Government of Occupied Territories) volle rimuovere dai loro incarichi le persone più coinvolte con il passato regime. … E per quanto riguarda i baci, Vi assicuro che ne ho tirati, a bizzeffe.»
P.: «E, adesso, cosa ci dice di fare?»
C.: «Manibus date lilia plenis. … Dimenticavo che il latino non lo masticate e traduco: spargete gigli a piene mani.»
P.: «Che cazzo significa?»
C.: «Adesso il volgare siete Voi e, se ci fossimo trovati nel famigerato ventennio, avreste pagato cara questa impertinenza. Manibus date lilia plenis era la scritta che si incideva sulle lapidi mortuarie di bambini, recisi nella primavera della vita. Eneide libro VI: manibus date lilia plenis purpureos spargam flores animamque nepotis his saltem accumulem donis, et fungar inani munere … »
P.: «Basta con questo latino. Non se ne può più!»
C.: «Non vi interessa la traduzione? Gettate gigli a piene mani, che io sparga fiori purpurei e colmi l’anima del nipote almeno con questi doni e faccia un inutile regalo. Sarei andato avanti, se non mi aveste interrotto.»
P.: «Non ho capito cosa volete dire.»
C.: «Voglio dire che non c’è più niente da fare. Voglio dire che i giovani non hanno speranza. Occorre attendere la resurrezione di Hiram.»
P.: «Possibile? Gli Architetti non si possono governare?»
C.: «Governare gli Architetti non è impossibile, … è inutile. E poi questi Architetti dove sono? La signorina che progetta ristrutturazioni di appartamenti a 12 Euro? Sono venuto a parlare con voi per farmi quattro risate? Noi ristrutturazioni di appartamenti non ne facevamo. Progettavamo palazzi, chiese, caserme, stadi, quartieri e città intere (vedi la bonifica dell’agro Pontino). L’Architetto che si occupa di sostituire pavimenti e spostare tramezzi è come il chirurgo che si mette a fare il callista ...»
P.: «Basta, Professore. Siete troppo pessimista.»
C.: «Caro Perrone, il pessimista è un ottimista con esperienza. Ed io di esperienza ne ho da vendere.»
P.: «Credo che sia meglio chiudere qui quest’intervista, che starà ammorbando chi ci legge. Vorrei solo sapere quando usciremo da questo tunnel.»
C.: «Nel 2028, primo centenario della marcia su Roma. Occorre attendere ancora 17 anni.»
P.: «Beato chi lo vede! Potrebbe darsi che per quella data (mi faccio una grattata …) Vi avrò raggiunto … dall’altra parte.»
C.: «Vi stiamo aspettando con ansia!»
P.: «Aspettate pure! C’è tempo. La magnolia dovrà superare l’altezza del palazzo (compresa l'antenna della televisione).»