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ebook di ArchigraficA

mercoledì 7 gennaio 2015

Ragazze solari



di Claudio Cajati


Ernesto è un mio amico. Anzi, il mio amico. Quello più caro, più premuroso, più generoso. Che si può volere di più dall’amicizia? Anzi, che si può volere di più dalla vita?
Però c’è un però. Nella sua premura, nella sua generosità, Ernesto è mosso da uno slancio irrefrenabile che lo induce spesso a trascurare la conoscenza. Insomma, non mi conosce bene. E privilegia la cieca generosità rispetto all’attenta disamina di quelle che sono le mie esigenze, i miei desiderata.
Capita che ogni tanto, non richiesto, mi fa qualche regalo inopportuno.
Voglio fare un esempio. L’ultima che ha combinato. Così potrete rendervi conto.
Bisogna sapere che io con le ragazze sono una frana. Mi piacciono molto, anche quelle non tanto carine – hanno tutte qualcosa di grazioso e segreto che mi attira comunque. Ma quando si tratta di abbordarle, mi emoziono talmente che mi impappino. Ed è subito un disastro.
Ernesto è tutto il contrario. Non è questione di bellezza, intendiamoci: lui non è più bello di me. Anzi. È semplicemente che lui con le donne ci sa fare. Le attira come mosche sulla cacca... cioè no, scusate, volevo dire sul miele.
Ne ha sempre talmente tante per le mani – e dico mani per non dire altro – che, nonostante sia molto virile, non ce la fa a gestirle tutte.
E allora, cosa ha pensato l’altra settimana? Ha pensato, premuroso e generoso qual è, di prestarmene una. O meglio, di regalarmela!
A voi femministe, che magari state leggendo, ve lo dico in anticipo: Ernesto è un porco maschilista che concepisce e tratta le donne come puri oggetti, non ci sono dubbi: prestare o regalare una donna a un amico! È semplicemente ignobile.
Ma lui l’ha fatto. E io, come potrei non confessarlo?, non ho avuto la forza di rifiutare. La ragazza era carina, accidenti e com’era carina.
All’appuntamento, Ernesto l’ha spinta verso di me con la grazia con cui si spinge il carrello al supermercato. E mi ha detto: “Si chiama Solange, è di origine francese, ti piacerà, è una ragazza solare...”
Lei mi ha sorriso, è arrossita un po’, si è accostata sinuosa e suadente. Promettente. Ma io mi ero distratto. Colpito e preoccupato per quel “è una ragazza solare”.
È d’uopo a questo punto una spiegazione. Sono anni che non vado più al mare. E che c’entra questo?, direte voi. C’entra, eccome c’entra.
Non vado al mare per vari motivi. Ma soprattutto uno: ho la pelle chiara e delicatissima. Ebbene il sole al mare scotta di più, per cui io mi brucio maledettamente, nonostante l’uso accorto di pomate ad altissima protezione.
Orbene questa Solange, l’abbiamo detto, era una ragazza solare. E quindi, come avevo subito sospettato e intuito, mi poteva fare l’effetto di una sciagurata esposizione al sole.
E così in effetti è stato. Queste ragazze cosiddette solari, tanto decantate sempre, sono invece, per noi gente pallida, una vera iattura.
Solange, già ai primi approcci, ai primi abbracci e baci – deliziosi, devo dire – la sentivo calda, anzi bollente. Emanava un calore spaventoso, insostenibile. Ma, quel che era più grave, da ragazza solare qual era, ovviamente privilegiava il sole vicino al mare. E lì, in quei posti deleteri, mi attirava con le sue innegabili grazie e le sue collaudate arti femminili. Io non sapevo dire di no, come pure avrei dovuto.
Avevo voglia a spalmarmi tutto di pomata protettiva – già la cosa mi rendeva ridicolo ai suoi occhi – due nemici implacabili mi assillavano e presto mi vincevano: il sole a picco sulla spiaggia e gli scogli, lo splendore solare di lei nei suoi baci e carezze roventi.
A un certo punto mi guardava perplessa. Forse sul punto di scoppiare a ridere. Ed io, anche senza ispezionarmi ancora in uno specchio, già sapevo di essere tutto paonazzo e bruciato. Dovevo essere esteticamente orrendo, e non mi potevo nemmeno più permettere il sesso.
Alla fine di questa brutta storia, mi dovettero addirittura ricoverare nel reparto grandi ustionati. Mi raccomandai con la caposala di non far entrare nella mia camerata una ragazza di nome Solange.
Mi ci volle molto tempo per guarire. Quando fui di nuovo in piedi, fuori da un letto, con la mia pelle chiarissima e lentigginosa, corsi da Ernesto. Nel periodo della mia degenza, lui aveva fatto solo una fugace e imbarazzata capatina.
Ero arrabbiato con lui. Anche se lui mi aveva offerto Solange per amicizia, a modo suo, ignaro delle conseguenze.
È vero che a volte gli esseri umani escono di testa e fanno gesti inconsulti di cui subito si pentono. Successe a me: mi scappò di mollargli addirittura un tremendo manrovescio.
Con il labbro inferiore che gli sanguinava, Ernesto mi guardò sgomento – non lo dimenticherò quello sguardo. Poi riuscì a bisbigliare, un bisbiglio dettato da amara saggezza: “Ecco cosa si guadagna ad aiutare gli amici!”